Enel Open Fiber è assegnataria dei bandi governativi per portare la fibra ottica in Italia, nelle aree svantaggiate, con il suo wholesale only model. Intanto, il 5G chiede di aprirsi al fixed wireless prima ancora che al mobile. Come si muove l’Italia per il futuro della Rete e quali sono le sfide da affrontare?
Il FTTH, acronimo di Fiber to the Home, contraddistingue la connessione più veloce ad Internet in circolazione. Composta da cavi in fibra (in sostituzione del rame, ormai obsoleto) durante tutto il percorso, dalla dorsale alla cabina armadio e da questa fino dentro casa dell’utente, consente di raggiungere una velocità in download e upload finora mai sperimentata.
Alcuni operatori associati ad Assoprovider si sono impegnati già da tempo a coprire con questa tecnologia alcune aree del territorio nazionale, dove sono commercialmente piu’ presenti anche con collegamenti wireless.
La società che oggi appare quella maggiormente impegnata a diffondere il FTTH nel Paese è Open Fiber, società partecipata da Enel e Cassa Depositi e Prestiti, già assegnataria degli incentivi governativi per favorire lo sviluppo infrastrutturale anche nelle aree depresse ed allineare l’Italia agli obiettivi europei.
Il modello scelto per commercializzare l’infrastruttura FTTH è il “wholesale only model”, favorito dalle nuove normative europee, in materia di telecomunicazioni e concorrenza. In parole semplici, Open Fiber non rivolge le sue offerte agli utenti finali in modo diretto, ma offre la sua infrastruttura solo all’ingrosso, a provider titolari di autorizzazione generale.
Il modello wholesale only toglie l’operatore da una concorrenza sul mercato a valle, e questo fatto tecnicamente riduce (ma non elimina del tutto) il rischio di sussidi incrociati, ed in generale, di abusi di posizione dominante.
È del tutto chiaro che se un domani, l’operatore che ha ricevuto sussidi pubblici perché ha scelto questo modello, dovesse successivamente cambiare pelle ed entrare nel mercato retail, si verrebbero a riproporre gli stessi annosi problemi. Come, per esempio, quelli che hanno riguardato Telecom Italia in quanto operatore verticalmente integrato, presente sia come rivendita all’ingrosso agli operatori che come vendita diretta agli utenti finali.
Le connessioni ultraveloci con tecnologia FTTH assumono ancora più importanza perché “la partita della fibra” si gioca in contemporanea con quella del 5G, il nuovo standard di comunicazione che promette di essere tra le 100 e le 1000 volte più veloce rispetto al 4 LTE. Il 5G ha infatti bisogno della fibra per garantire la velocità giusta a servizi innovativi, come quelli dell’IOT, della telemedicina e delle auto connesse. Se è vero che dietro ogni antenna deve esserci la fibra ottica, è anche vero che per poter pienamente godere dei benefici del 5G dovemmo attendere un più compiuto sviluppo della rete ottica in Italia.
Open Fiber oggi
Gli obiettivi di Open Fiber sono stati fissati a marzo di quest’anno: il progetto nazionale punta a coprire oltre 270 città entro il 2022 con servizi 1Gps. Mentre nelle cosiddette aree bianche (a fallimento di mercato) il traguardo è di arrivare a 100 o 30 Mbps in downstream, grazie ai fondi messi a disposizione da Infratel e Mise.
La Rete Open Fiber, come si legge sul sito Internet ufficiale, è già disponibile a Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Genova, Napoli, Milano, Padova, Palermo, Perugia, Torino e Venezia.
In totale, il progetto OF punta a cablare complessivamente 20 milioni di edifici. Di questi, 9,5 milioni apparterranno ad aree a successo di mercato, mentre 10 milioni in quelle a “digital divide”.
Oggi gli operatori che hanno scelto di utilizzare la Rete 100% in fibra ottica di Open Fiber sono Connesi, Go Internet, Tecnoadsl, Tiscali, Vodafone e Wind Tre.
Sul sito c’è anche l’iter da seguire per quegli Isp che vogliono diventare partner del progetto: qui è possibile compilare la domanda per proporsi.
Il wholesale only model, sotto la lente di ingrandimento
L’obiettivo è stato già fissato per il 2025 dall’Unione Europea: il raggiungimento della cosiddetta Gigabit Society, che solo la diffusione delle Reti in Fibra potrà garantire.
Un traguardo che ha richiesto una riflessione sui modelli di sviluppo. Secondo molti analisti le nuove necessità del mercato stanno dimostrando i limiti del modello di integrazione verticale di reti e servizi: quello nel quale il proprietario di un’infrastruttura di Rete ne offre anche i servizi ai consumatori finali. Un “nodo” delicato che è da anni l’incubo dei regolatori e delle autorità antitrust.
Gli stessi analisti evidenziano invece i vantaggi del wholesale only model per intenderci, che offre alcuni vantaggi evidenti:
- I provider possono acquistare i servizi e garantire un’offerta più innovativa ai propri utenti
- Si superano i rischi di inutili duplicazioni infrastrutturali. Come già accennato, il detentore dell’infrastruttura è uno e la affitta agli altri operatori che vogliono entrare nel mercato.
- Si riducono i conflitti tra gli operatori di rete e i service provider che sono tipici di quei mercati dominati da incumbent verticalmente integrati.
Il wholesale-only sta crescendo in tutta Europa. Oltre a Open Fiber, lo adottano Stokab in Svezia, Siro in Irlanda, e anche in Francia, UK e Austria, alcune municipalità stanno pensando di adottarlo.
Tutti i vantaggi descritti potrebbero crollare se questo modello dovesse essere prima adottato e dopo abbandonato. Possono presentarsi casi infatti in cui un operatore, dopo aver ricevuto delle sovvenzioni, si posizioni sul mercato, catturando i finanziamenti pubblici e privati per creare la struttura. E poi in un secondo momento, decidere di spostarsi sulla rivendita diretta al pubblico dell’infrastruttura.
Come Assoprovider ci aspettiamo che il ruolo delle Autorità di regolazione, AGCOM e AGCM sia sempre alto per poter garantire anche ai competitori più piccoli, ma molto presenti sul territorio nazionale, di poter portare avanti progetti infrastrutturali validi e altrettanto riconosciuti, con un migliore accesso al credito anche delle PMI.
La partita del 5G
Il nodo della fibra si gioca in contemporanea con quella del 5G, il nuovo standard di comunicazione che è ancora oggi in una fase embrionale. Per raggiungere velocità così elevate (tra le 100 e 1000 volte più veloci rispetto al 4G LTE) il 5G dovrà sfruttare onde millimetriche.
Le frequenze necessarie per il 5G in Europa sono i 700 MHz, oggi impiegati dalle televisioni del digitale terrestre. In Italia liberare queste frequenze comporta dei problemi in più, rispetto ad altri Paesi europei: per farlo si dovrebbe ridurre il numero dei multiplex (dai 19 attuali a 14). A questo si aggiunge una questione tutta italiana, quella del quadro di assegnazione delle frequenze occupate dalla tv e dalle grande abbondanza di reti locali.
La banda 700Mhz non sarà l’unica a dover essere liberata, almeno in parte. Il 5G richiede anche frequenze 3.4-3.8 Ghz (la parte 3.4-3.6 attualmente assegnata alla Difesa e in parte a operatori come Tim, Tiscali e Linkem, fino al 2022). Intanto il tempo stringe: la gara per l’assegnazione delle frequenze per il 5G si dovrebbe svolgere a partire dal settembre 2018.
Quello delle frequenze non è l’unica questione sul tavolo: il 5G ha bisogno della fibra per garantire velocità e latenza per l’IOT e altri servizi. In un contesto del genere, il wholesale-only potrebbe velocizzare il processo e adattarsi maggiormente all’evoluzione del 5G. Secondo alcuni analisti, infatti, il modello con un unico operatore che soddisfa le esigenze di ogni singola operazione verticale, sarebbe più idoneo a sostenere la “sliced structure”, la struttura a fette più indicata per il nuovo standard.
È importante che il 5G non resti appannaggio degli operatori mobili e per questo Assoprovider chiede che ci sia attenzione all’uso di questa tecnologia per coprire aree del territorio con il Fixed Wireless Broadband, così come già molti associati ad Assoprovider stanno facendo, avvalendosi dell’enorme bagaglio di esperienza accumulato nel diffondere internet con il semplice uso di frequenze libere.
Views: 292