Chi è Paul Mockapetris, inventore del DNS (la “rubrica” di Internet)

«Quando invii una email, ti aspetti che il sistema sappia come portarla dove deve arrivare – cioè a uno dei 200 milioni di domini – e tutto sommato, funziona».

Con questa frase, Paul Mockapetris spiega in maniera molto semplice l’importanza del Domain Name System, o DNS, da lui ideato negli anni ‘80 che ancora oggi ci aiuta a connettere tra loro computer e altri dispositivi in tutto il mondo.

Senza il DNS, Internet non avrebbe avuto la possibilità di espandersi ai livelli in cui è arrivato oggi. Scopriamo più in dettaglio che cos’è e come Mockapetris e soci hanno avuto l’intuizione giusta per idearlo.

Che cos’è il DNS?

Come abbiamo accennato, il DNS è il “sistema dei nomi di dominio”, dall’inglese Domain Name System: traduce cioè gli indirizzi internet a cui siamo abituati (come www.assoprovider.it) negli indirizzi IP (Internet Protocol) usati da computer e altri dispositivi come smartphone e tablet. Un indirizzo IP è costituito da una stringa di numeri, come 192.168.1.1. Questo nome “in codice” serve ai diversi dispositivi online a collegarsi e comunicare tra loro.

Senza il DNS, in sostanza, dovremmo ogni volta inserire (e ricordare soprattutto) quella stringa di numeri per accedere a un sito web o contattare qualcuno online. 

È un po’ come una rubrica telefonica: probabilmente ricordiamo una minuscola percentuale dei numeri di telefono che abbiamo in rubrica e senza una corrispondenza tra i nomi di amici e familiari e i loro contatti faremmo un’enorme fatica a chiamarli. I server DNS gestiscono proprio questo aspetto, mappando nomi (di dominio) e numeri (di indirizzo IP) e mettendoli in correlazione tra loro.

Internet prima del DNS

A questo punto, sorge spontanea una domanda: come facevano prima i computer a comunicare tra loro? Nei primi anni ‘80 esisteva ancora ARPAnet, la rete governativa progenitrice di Internet, e per avere un “indirizzo” (o meglio un host name) con cui comunicare dovevi chiamare il NIC, Network Information Center, presente nell'istituto di ricerca dell’Università di Stanford in California. Che ovviamente non era aperto h24, ma solo quando c’era il personale in ufficio: quindi non più tardi delle 18 (Ora del Pacifico) e mai durante le festività.

Come spiega lo stesso Mockapetris:

«Se volevi aggiungere una macchina al network, dovevi chiamare Stanford e parlare con il Network Information Center, per ricevere un nome e un indirizzo».

Il NIC possedeva un unico file di testo, denominato “host.text”, su cui sono annotati tutti gli indirizzi della rete ARPA, con le relative corrispondenze alle macchine collegate. Una sorta di pagine bianche dei primordi della Rete. Il file era poi distribuito a tutte le macchine del network in modo da consentire a tutti di comunicare.

I problemi di questo sistema sono due. 

Il primo è che per contattare un altro computer devi andare a guardare il suo indirizzo sulla tua rubrica e poi digitare i numeri su tastiera. Il secondo è che ogni giorno è necessario ricopiare “a mano” tutti i nuovi indirizzi inseriti sulla rete.

Le persone che lavorano ad ARPAnet sono pienamente coscienti del problema. Jon Postel, a capo del dipartimento di ricerca della Southern California University (USC) che ha lavorato al primo messaggio della storia inviato via rete, un giorno convoca Mockapetris nel suo ufficio, per parlargli del problema. Vuole che Mockapetris trovi una soluzione e gli propone cinque diverse possibili strade da seguire. Il ricercatore accetta il lavoro, ma ignora tutte le indicazioni di Postel.

L’intuizione di Paul Mockapetris

Mockapetris capisce che il sistema centralizzato del NIC è ormai superato: è necessario creare una rete distribuita su diversi server, in diverse località, per ottenere il risultato sperato.

Questo è il primo passaggio: da quel momento, chi vuole comunicare sulla rete non deve per forza attendere gli orari di apertura di Stanford, ma ha maggiore flessibilità. 

Il sistema assicura poi che ogni dispositivo in rete abbia la sua “identità”, un nome dominio facilmente identificabile e memorizzabile, che si traduce poi in un indirizzo IP verso cui vengono instradati i pacchetti di dati inviati da un altro computer.

«Per fare qualunque cosa su Internet – spiega Mockapetris – devi essere in grado di dire alle persone chi sei: il DNS fa proprio questo. In più, ti permette di consultare chiunque abbia inserito i propri dati sul DNS».

In sostanza, il sistema ideato dal ricercatore consente a tutti i membri della rete di inserire e cambiare in autonomia i propri parametri, facendo in modo che quei dati siano visibili a chiunque. 

Nel 1983 il nuovo sistema è pronto. Dopo una fase di test di alcuni mesi, Mockapetris, Post e Craig Partridge, un altro dei pionieri che ha lavorato al DNS, pubblicano l’idea in un memorandum per il Request for Comments (RFC), a novembre 1983. 

Quasi un anno dopo, nell’ottobre 1984, vengono ufficialmente stabiliti i primi domini generici, che ancora oggi tutti conosciamo e usiamo: .com, .edu, .gov, .mil, .net e .org. Nel 1986, il DNS diventa uno degli Standard di Internet originali, stabiliti dalla IETF, la Task Force che ha gettato le basi per la rete che conosciamo tutti oggi.

Il primo aggiornamento del DNS è arrivato tre anni dopo la creazione e malgrado il sistema sia evoluto molto nel corso dei decenni, ancora oggi consente a milioni di persone di comunicare tra loro.

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